martedì 22 ottobre 2013

Nel sottopassaggio meglio non passare di sera. La vita delle donne nella morsa della mobilità urbana

Nel sottopassaggio meglio non passare di sera, magari ti rapinano. 
In più devi fare 80 gradini tra scendere e salire, che tra pancione e bimbo da prendere in braccio è una bella fatica. Poi quando esci dal metrò, se vedi l'autobus arrivare dall'altro lato della strada, devi attraversare al volo, senno ti tocca aspettare nel buio. E allora rischi, perchè sono le sette e mezza di sera e devi tornare a casa a preparare la cena. Forse ci sono pensieri come questi all'origine della tragedia che si è consumata la sera di domenica 20 ottobre 2013 sull’asfalto di un grande viale di Milano. Per ora si possono fare solo ipotesi sul comportamento della sfortunata giovane madre, ma è esperienza comune l’insicurezza che ispirano le strade e le infrastrutture che ogni giorno gli abitanti delle città utilizzano per spostarsi. Sono soprattutto le donne le vittime di questa insicurezza e del senso d’impotenza che essa ispira. Meglio  tentare un attraversamento rischioso, utilizzando un varco dello spartitraffico, piuttosto che avventurarsi in un sottopassaggio, forse considerato ancora più pericoloso del viale concepito per lo scorrimento veloce delle auto. 
La pianificazione orientata alle necessità delle auto più che a quelle delle persone ha segmentato i percorsi urbani in settori della cui importanza è testimonianza la quantità di danaro pubblico investita per la loro realizzazione. Non è un caso che il sottopassaggio che conduce alla stazione della metropolitana, meta o provenienza della donna investita, abbia dall’altro lato del viale un posteggio per auto.
La mobilità ha una relazione fortissima con il valore sociale che hanno le funzioni di cura, ancora largamente sulle spalle dell'universo femminile.  Fare la spesa, portare i figli a scuola, andare a lavoro, occuparsi delle necessità degli anziani, sono attività che generano spostamenti, molto difficili nella città intasate dal traffico automobilistico e  ancor di più se si è una donna che deve necessariamente portare con se bambini piccoli e usare i mezzi pubblici. 


La questione  dell'impatto della moblità sulla qualità della vita delle donne per ora non trova posto nemmeno tra gli indicatori che dovrebbero misurare quanta strada c’è ancora da fare per raggiungere l’obiettivo di città in grado di non nuocere ai propri abitanti ed, in generale, al pianeta. Al di là delle buone intenzioni enunciate per rimediare ai guasti delle città contemporanee, va  infatti registrato che fino ad ora i tentativi di mettere in discussione i principi dell’urbanistica modernista novecentesca non sono riusciti a far coincidere il concetto largamente utilizzato (ed abusato fino al limite della sua trasformazione in slogan) di sostenibilità con soluzioni in grado di sovvertire il modello dominante di pianificazione urbana, e questo  vale in particolare per gli effetti che esso ha avuto sulla vita delle donne.


Finchè le politiche per la mobilità urbana, oggi largamente avulse dalle scelte di governo del territorio, non metteranno al centro le necessità del suo attore principale, perché è ormai dimostrato che sono molto di più le donne a spostarsi rispetto agli uomini, finchè non saranno riconosciute le specifiche necessità legate al genere e non si metterà al centro il ruolo che esso esercita nella società, muoversi nelle nostre città a misura d'auto sarà, per le donne e non solo, una sfida da affrontare all'insegna della quotidiana insicurezza.
  Michela Barzi  Millennio Urbano

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