mercoledì 30 ottobre 2013

Solo per signore. Trasporto pubblico e questioni di genere

Che il trasporto pubblico sia la soluzione strategica per combattere gli enormi danni ambientali ed economici prodotti dall'espansione della mobilità individuale motorizzata è un'affermazione pressoché scontata.  Tuttavia la realizzazione di reti efficenti di trasporto collettivo è questione che si scontra con gli interessi contrapposti su cui spesso si basano le politiche dei governi.
La priorità degli investimenti va ancora alla costruzione di autostrade perchè questo tipo di infrastruttura è la spina dorsale del modello di  sviluppo territoriale novecentesco, tutt'altro che superato in Italia, che fa parte dei cosiddetti paesi sviluppati, come in India il cui impetuoso sviluppo economico è rappresentato, per quanto riguarda gli effetti territoriali, dalla costruzione di 39 nuove autostrade sui cui progetti e relativi finanziamenti il governo sta discutendo in questi giorni.

Uno degli effetti più noti di questo modello di sviluppo territoriale è l'enorme dipendenza dal petrolio che, nel caso del secondo paese più popoloso al mondo, si traduce in 145 miliardi di dollari all'anno per l'importazione di greggio. Il Ministro del Petrolio M. Veerappa Moily, conti alla mano, ha proposto ai suoi concittadini di utilizzare il trasporto pubblico almeno una volta alla settimana per risparmiare 23 miliardi di dollari, una cifra considerevole visto il deficit nella bilancia dei pagamenti del paese asiatico. Egli stesso, dal 9 ottobre scorso, viaggia ogni mercoledì sulla metropolitana per recarsi al suo ministero.

L'iniziativa del ministro Moily a sostegno del trasporto pubblico ha tuttavia poco in comune con l'esperienza quotidiana dei 2,3 milioni di passeggeri della metropolitana di Delhi, spesso costretti per raggiungerla ad avvalersi di altri mezzi di trasporto su gomma, dai taxi ai rickshaw che intasano le strade della capitale, cosi' come gli affollatissimi e lenti autobus.
Le difficoltà degli spostamenti in Delhi si aggravano per le donne, la cui scarsa presenza come utenti della metropolitana e' testimoniata dalle esigue file che si fomano agli ingressi dotati di metal detector. Per evitare che esse siano oggetto di molestie sessuali,  un vagone di ogni treno viene esclusivamente destinato a loro. Dopo il caso eclatante della studentessa morta a seguito di una violenza di gruppo avvenuta su di un bus di Delhi, l'istituzione dei vagoni solo per donne é senz'altro apprezzabile, pur sembrando una forma di segregazione. Tuttavia continuano a sussistere gli elementi d'insicurezza per le donne che si spostano nella città, soprattutto nelle ore serali, quando diventa sconsigliabile camminare su strade male illuminate, spesso prive di marciapiede  e sopratutto progettate per il traffico veicolare.

Rispetto alla situazione problematica della mobilità urbana, la metropolitana di Delhi, con le sue 6 linee che si estendono per 190 chilometri,  ha cominciato ad essere operativa solo nel 2002. Altri 108 chilometri saranno aggiunti alla rete attuale con l'intento di sgravare l'enorme traffico veicolare generato da uno sviluppo urbano che ha portato lo stato dove risiede la capitale indiana ad incrementare, tra il 1991 ed il 2011, la propria area urbana del 62,5% e la popolazione del 77,8%, secondo lo Statistical Abstract 2012.
 
Il caso della metropolitana di Delhi e dei suoi vagoni destinati alle donne dimostra come su di un buon trasporto pubblico si appoggi anche la possibilita' di aumentare la percentuale di donne occupate, in India drammaticamente ferma al 10,58% (un quinto di quella maschile). Condizioni piu' sicure ed efficenti per muoversi tra l'abitazione ed il lavoro possono supportare l'occupazione femminile, oltre ad essere una valida alternativa per coloro che utilizzano l'auto privata e generare un considerevole risparmio energetico. In questo senso l'esempio del Ministro indiano del Petrolio potrebbe essere molto piu' che simbolico.

In Italia non c'è nessun ministro che va a lavorare con i mezzi pubblici e l'importazione di petrolio ci costa 55 miliardi di dollari all'anno. Nessuno sembra avanzare proposte organiche affinchè un trasporto pubblico efficiente possa migliorare  le condizioni difficili della mobilità urbana e ridurre la dipendenza energetica del paese. Men che meno ci si interroga su quanto una mobilità sostenibile, anche da un punto di vista di genere, possa aumentare le opportunità per le donne di partecipare alla vita econimica, in una situazione in cui, relativamente a questo indicatore, il nostro paese è al 97 posto del Global Gender Gap Index 2013 del World Economic Forum.

Michela Barzi Millennio Urbano
 

L' Europa nel XXI secolo

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Europa nel XXI secolo, un set su Flickr.

venerdì 25 ottobre 2013

Alla Casa delle Donne: gran fermento di incontri

Presso la nuova Casa Delle Donne di Milano si sono formati diversi gruppi di lavoro che stanno organizzando un fitto programma di incontri. Volete partecipare? 

Per informazioni si può scrivere alle referenti di ogni gruppo (che vi indichiamo accanto a ogni data elencata sotto). 
Ma attenzione! Vi ricordiamo che per partecipare è necessario essere socie. (per iscrivervi scrivete a socie@casadonnemilano.it)

I prossimi incontri
• Venerdi 25 ottobre, h. 18 - 20/20,30: gruppo "interculture"
in via Marino 7, 3° piano saletta "Ester Angiolini"  (referente: Francesca

• Mercoledì 30 ottobre, h. 18: gruppo "ufficio stampa" (referente: Barbara)

• Martedì 5 novembre, h.19.00: gruppo "comunicazione"
  Saletta 'Angiolini', via Marino 7, 3° (referente: Sabina)

• Giovedì 7 novembre: gruppo "fundraising"
  Saletta 'Angiolini', via Marino 7, 3° piano (referente: Cami)

• Martedì 12 novembre, h. 18: gruppo "Città bene comune"
  Saletta 'Angiolini', via Marino 7, 3° piano
  (sede ancora da confermare! referente: effe-elle)

• Gruppi "sportello degli sportelli e rete delle reti" ed 'eventi'
Questi due gruppi si sono già riuniti; le interessate al prossimo incontro possono scrivere alle rispettive referenti: per sportello degli sportelli: Nicoletta  - Per gli eventi: Paris.

• L’incontro del gruppo "Progettazione" è ancora in preparazione (per info, scrivere alla referente progettazione). 

mercoledì 23 ottobre 2013

Caro Sindaco, cara Giunta di Milano

Quanto vogliamo bene a Pisapia? Tanto. 
Non se la prenda dunque se, con tutte le gatte da pelare che ha, ci si mettono anche le donne, e noi con loro, a chiedere un po' di attenzione: solo un po' di attenzione in più, si intende, a quella che non ha mai mancato di esprimere. 
Leggi questa lettera caro Sindaco, e soprattutto rispondile: ci contiamo.
La richiesta, che viene fatta ringraziando la Giunta per la sensibilità sempre dichiarata nei confronti delle istanze e dei diritti delle donne, e alla luce di un impegno che conferisce alla nostra città anche un ruolo di esempio verso le altre amministrazioni, è di stralciare il punto 2 dalla delibera di Giunta n° 1288 del 28 giugno 2013 (per il resto ottima):  

"Ci rivolgiamo al Sindaco Giuliano Pisapia, alla Giunta, a Francesca Zajczyk (Delegata del Sindaco alle Pari Opportunità) e Anita Sonego (Presidente della omonima Commissione). Durante i lavori del convegno “Quando comunicazione fa rima con discriminazione” , tenuto lo scorso 17 settembre a Palazzo Marino, abbiamo appreso che nella delibera “Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità della donna” tra i punti destinati a individuare i messaggi discriminatori da contrastare, compare, al n° 2, quanto segue: Immagini volgari, indecenti, ripugnanti devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico: punto che Vi chiediamo formalmente di stralciare.
Infatti, intorno al senso e al significato di questo punto, in evidente contraddizione con gli altri quattro, si é sviluppata una discussione pubblica che ha coinvolto gruppi di donne, associazioni, collettivi femministi, singole e singoli. Parte del dibattito é stato pubblicato su Ambrosia, Politica Femminile, Arcipelago Milano e infine su Un altro genere di comunicazione.
Ci preoccupa dover stabilire cosa è normale e cosa non lo è. E le ragioni per cui una parola tanto discriminatoria viene utilizzata all’interno di un documento che vorrebbe rappresentare un esempio di lotta alle discriminazioni. 
Gli intenti di lotta alla pubblicità sessista di questa delibera sono importanti, ma altrettanto lo sono le parole, il linguaggio, la comunicazione. Com’è possibile che in un testo volto a mettere in discussione il sessismo dei cliché comunicativi pubblicitari sia comparsa una così grave incoerenza?
In Italia, come ci hanno dimostrato recentemente i casi 'Barilla' e 'Boldrini', la normalità è ancora rappresentata da un modello familiare eteronormativo, dove alla donna è riservato il compito di gestire la casa e servire la famiglia. Non vorremmo arrivare a pensare che il punto n° 2 risulti un escamotage per non intaccare i modelli culturali e le credenze di una supposta comunità di riferimento e la sua “sensibilità”. Sono queste le ragioni che motivano la nostra richiesta di stralcio del punto n. 2 della delibera.
Ringraziando la Giunta per la sensibilità sempre dichiarata nei confronti delle istanze e dei diritti delle donne, e proprio alla luce di un impegno che conferisce alla nostra città anche un ruolo di esempio verso le altre amministrazioni, confidiamo che la nostra richiesta verrà accolta".
Le prime firmatarie sono:
Lara Adorni, Annapaola Ammirati, Carla Antonini, Fabrizia Boiardi, Mariangela Bonas, Marina Borgatti, Antonella Coccia, Chiara Collini, Carla Comacchio, Carlotta Cossutta, Evelina Crespi, Nadia Dowlat, Maria Grazia Ghezzi, Lucia Leonardi, Mariagrazia Longoni, Marta Lovison, Arianna Mainardi, Fabiana Manigrasso, Donatella Martini, Alice Monguzzi, Adriana Nannicini, Antonella Pastore, Alessia Ricci, Chiara Rossini, Martina Tisato.

Se ne sono aggiunte molte altre, anche di altre città (e non solo firme di donne); l'elenco completo si trova qui.
Si uniscono inoltre alla richiesta diversi gruppi di donne e associazioni:

Perché.. è vero, i problemi di cui occuparsi sono tanti; ma anche questa non è una questione di lana caprina:

martedì 22 ottobre 2013

Nel sottopassaggio meglio non passare di sera. La vita delle donne nella morsa della mobilità urbana

Nel sottopassaggio meglio non passare di sera, magari ti rapinano. 
In più devi fare 80 gradini tra scendere e salire, che tra pancione e bimbo da prendere in braccio è una bella fatica. Poi quando esci dal metrò, se vedi l'autobus arrivare dall'altro lato della strada, devi attraversare al volo, senno ti tocca aspettare nel buio. E allora rischi, perchè sono le sette e mezza di sera e devi tornare a casa a preparare la cena. Forse ci sono pensieri come questi all'origine della tragedia che si è consumata la sera di domenica 20 ottobre 2013 sull’asfalto di un grande viale di Milano. Per ora si possono fare solo ipotesi sul comportamento della sfortunata giovane madre, ma è esperienza comune l’insicurezza che ispirano le strade e le infrastrutture che ogni giorno gli abitanti delle città utilizzano per spostarsi. Sono soprattutto le donne le vittime di questa insicurezza e del senso d’impotenza che essa ispira. Meglio  tentare un attraversamento rischioso, utilizzando un varco dello spartitraffico, piuttosto che avventurarsi in un sottopassaggio, forse considerato ancora più pericoloso del viale concepito per lo scorrimento veloce delle auto. 
La pianificazione orientata alle necessità delle auto più che a quelle delle persone ha segmentato i percorsi urbani in settori della cui importanza è testimonianza la quantità di danaro pubblico investita per la loro realizzazione. Non è un caso che il sottopassaggio che conduce alla stazione della metropolitana, meta o provenienza della donna investita, abbia dall’altro lato del viale un posteggio per auto.
La mobilità ha una relazione fortissima con il valore sociale che hanno le funzioni di cura, ancora largamente sulle spalle dell'universo femminile.  Fare la spesa, portare i figli a scuola, andare a lavoro, occuparsi delle necessità degli anziani, sono attività che generano spostamenti, molto difficili nella città intasate dal traffico automobilistico e  ancor di più se si è una donna che deve necessariamente portare con se bambini piccoli e usare i mezzi pubblici. 


La questione  dell'impatto della moblità sulla qualità della vita delle donne per ora non trova posto nemmeno tra gli indicatori che dovrebbero misurare quanta strada c’è ancora da fare per raggiungere l’obiettivo di città in grado di non nuocere ai propri abitanti ed, in generale, al pianeta. Al di là delle buone intenzioni enunciate per rimediare ai guasti delle città contemporanee, va  infatti registrato che fino ad ora i tentativi di mettere in discussione i principi dell’urbanistica modernista novecentesca non sono riusciti a far coincidere il concetto largamente utilizzato (ed abusato fino al limite della sua trasformazione in slogan) di sostenibilità con soluzioni in grado di sovvertire il modello dominante di pianificazione urbana, e questo  vale in particolare per gli effetti che esso ha avuto sulla vita delle donne.


Finchè le politiche per la mobilità urbana, oggi largamente avulse dalle scelte di governo del territorio, non metteranno al centro le necessità del suo attore principale, perché è ormai dimostrato che sono molto di più le donne a spostarsi rispetto agli uomini, finchè non saranno riconosciute le specifiche necessità legate al genere e non si metterà al centro il ruolo che esso esercita nella società, muoversi nelle nostre città a misura d'auto sarà, per le donne e non solo, una sfida da affrontare all'insegna della quotidiana insicurezza.
  Michela Barzi  Millennio Urbano

giovedì 3 ottobre 2013

Milano violenta, Milano nonviolenta

Il 2 ottobre, giornata mondiale della nonviolenza, in Zona3 si sono riuniti 200 studenti e 20 insegnanti per inaugurare il progetto TueIO che vedrà coinvolti diversi istituti scolastici della zona per salvaguardare le nuove generazioni. 

Da Novembre partiranno i laboratori di nonviolenza per genitori, insegnanti, educatori e alunni. Qui il programma completo degli incontri.  Questa notizia è a maggior ragione degna di nota alla luce della manifestazioni di grave violenza e intolleranza che scuotono la città, portate alla luce dall’indagine del commissariato Lorenteggio coordinata dal pm Annamaria Fiorillo: bande metropolitane scatenate per violenza e odio razziale.
Su questa vicenda, scrive Fiorella Mannoia sul suo profilo fb: “Ecco a che cosa portano le parole. A tutti gli esponenti politici che seminano odio: Questo è il risultato della vostra ignoranza e della vostra mala politica. Penso a quell'idiota che porta un finocchio in aula, a quelli che incitano al razzismo e all'omofobia, siete contenti? ecco che cosa producete. Vergognatevi!”. Già, c'è anche questo aspetto. Degrado, mancanza di lavoro e di servizi, e su tutto un linguaggio inaccettabile. Abbiamo bisogno di una politica diversa.

Le belle parole e i mostri a 14 corsie

Non si illuda la nostra Giunta che la protesta (lei si sotterrata, e senza tanti complimenti),   si lasci soffocare così. 
Oggi, 3 ottobre, la conferenza dei servizi si riunisce di nuovo: ci aspettiamo che l’amministrazione torni sulle decisioni prese il 30 settembre. 

Lunedi 30 settembre, durante la Conferenza dei Servizi relativa alla riqualificazione alla Rho-Monza, il Comune di Milano assieme a Provincia, Regione e Ferrovie Nord, ha dato parere favorevole all’avvio della cosiddetta “strada mostro” a 14 corsie, senza prevedere alcuna modifica, e la cosa grottesca è che questo avallo ai lavori viene dato in nome dell’Expo – manifestazione che pone a tema l’acqua, la terra e l’ambiente.
Un déjà vu che si ripete; tante belle parole promettenti superate da fatti preoccupanti. 
Non è stata nemmeno considerata la proposta di modifica al progetto, per l’interramento della bretella che attraverserà Paderno Dugnano, richiesta dal Comitato Cittadini Interramento Rho-Monza (CCIRM). Questo nonostante che giovedi 26 settembre il Consiglio comunale di Milano abbia sospeso la propria attività per incontrare una delegazione del CCIRM, e tutti i rappresentanti dei gruppi politici consiliari si siano detti solidali con le richieste del comitato.

E questo nonostante il progetto, così com’è concepito, veda la ferma opposizione dei cittadini di tutti i Comuni coinvolti, e cioè Bollate, Cormano, Novate; Baranzate; Paderno Dugnano, che infatti hanno votato contro. Come può il Comune di Milano avallare un simile ecomostro? la battaglia che i comuni coinvolti portano avanti ormai da 5 anni è anche negli interessi nostri: dei cittadini e delle cittadine milanesi. 

mercoledì 2 ottobre 2013

Donne e pubblicità. Ancora sulla delibera del Comune di Milano: su Arcipelago Milano

Ne abbiamo già parlato qui. Ora la questione è risollevata su Arcipelago Milano: in un pezzo firmato collettivamente, da 5 donne milanesi. 
Ecco alcuni stralci:
Stupore e una cascata di domande preoccupate. Questo ha generato il secondo punto della Delibera del Comune di Milano del 28 giugno su: “Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità della donna” in cui si legge che sono considerati “messaggi incompatibili con l’immagine che intende promuovere: (…) punto 2) le immagini volgari, indecenti, ripugnanti, devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico.” I termini che qui troviamo Normale, Comunità, non si leggono con leggerezza e nonchalance. Stupisce e dispiace leggere questi riferimenti confusivi in una Delibera che vuole contrastare la diffusione della pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità delle donne. (...) 
Oggi non ci preme discutere qui tutta la delibera, il suo quadro di senso possiamo certamente dire che è apprezzabile e significativo e rilevante … se non fosse che c’è il punto 2 e il quadro si confonde e qualche preoccupazione sorge tra alcune donne di Milano e di altrove. 
Altrove dove? Roma, ad esempio:


Quali le domande che suscita in noi come in altre? Solo per citare il collettivo Ambrosia e Politica femminile Lombardia.
Continua il pezzo (i link sono aggiunti da noi): Forse siamo in ritardo (la delibera è di giugno, il convegno di un paio di settimane fa) ma non lo è la questione che il tema pone, che riaffiora a ogni occasione. In questi giorni è la Presidente Boldrini a fare richiami sulle immagini stereotipate nei tanti spot pubblicitari della “donna che serve a tavola”
Qui l'intervento citato (e vedi anche QUI, riguardo alle polemiche sollevate dalla cosa):

e dunque la dichiarazione riferibile di Barilla: “Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale.” Potremmo anche domandarci: la “famiglia tradizionale” per, e a cui, vendere pasta non è in fondo coerente a una delle possibili letture di questo punto 2? 
Infatti, quale sarà la “normalità” che la “comunità” di riferimento percepisce? Come la percezione verrà rilevata e una misurazione adeguata applicata? Chi, tra i tanti funzionari del Comune di Milano, si accollerà l’arduo compito amministrativo un giorno dopo l’altro, cartellone dopo cartellone? Perché si è avvertita l’esigenza di utilizzare questo concetto? Perché dimenticare che è stato Franco Basaglia a insegnarci che “da vicino nessuno è normale”, che troppo facilmente la normalità si fa norma, e appunto legiferando discerne tra chi lo è e chi non lo sarebbe. E poi cosa?
Assunto questo principio in norme e normative comunali, perché non immaginare che un anonimo funzionario o una Giunta di diverso colore lo utilizzino per decidere quanto sia “psichicamente normale” quel paziente (o ex tale) per ottenere un lavoro, quanto sia “sessualmente normale ” quella famiglia per ottenere l’accesso alla lista delle case popolari … e via discorrendo. 
Senza correre troppo avanti già adesso nota il collettivo Ambrosia “E se il pubblico trovasse ripugnante vedere due donne che si baciano? E se la comunità ritenesse indecente una donna grassa in bikini? E se trovasse volgari due uomini che si tengono per mano”? (la Giunta nel corso dell’ultimo anno ci ha spesso ricordato che la “macchina comunale è complicata, lenta, immodificabile”).
La normalità che si fa norma ha una forza lo sappiamo, riappare, riemerge e rischiamo di ritrovarla laddove non sembrava prevista. Soprattutto perché il punto la coniuga con “comunità”, che per primo Tonnies contrappose a “società”, e la tensione tra i due termini è recentemente riattualizzata da un sociologo a pieno titolo divulgatore europeo, Bauman che argomenta in un suo fortunato testo: “l’attrazione che la comunità (…) esercita poggia sulla promessa di semplificazione, poiché significa l’espunzione delle differenze (…). L’unità comunitaria è fondata sulla divisione (di chi non ne fa parte), sulla segregazione, sul mantenere le distanze.” Nella battaglia contro l’incertezza, la comunità cede libertà degli individui in cambio di sicurezza. Nella società accade il contrario, restando sempre in ambito disciplinare, poiché Milano città Metropolitana aperta all’Europa e al mondo, assomiglia certo più a una società che non a una comunità preindustriale.
A quest’immagine intendeva riferirsi il punto 2? Un concetto di “normalità” percepito come tale da una comunità che evita le differenze? Già a fine giugno il Corriere della Sera scriveva che “(…) uno dei punti destinati a far discutere sarà il punto 2 (…) quale percezione della normalità?” La lotta contro la pubblicità sessista è infatti una lotta a un’immagine di “normalità femminile”, che sia la madre stereotipata di cui sopra, o una fanciulla denudata ad accarezzar auto … anche questa è stata “normalità”, quella ormai criticata da più di dieci anni come immagine stereotipata e sessista.
E infine, ma non per importanza: questa Delibera presentata sul sito del Comune, nelle interviste della vicensindaco e negli interventi alla giornata del 17 settembre, non è considerata come un atto puramente di amministrazione ordinaria, ma piuttosto come: “Un bel lavoro condiviso tra Giunta, Consiglio e delegata alle Pari Opportunità.”
Sono particolarmente soddisfatta di questo obiettivo raggiunto – dichiara la delegata del Sindaco alla Pari Opportunità Francesca Zajczyk – sia per il contenuto sia per il metodo. Questo provvedimento, infatti, è il risultato di un lavoro comune con le altre figure istituzionali in prima fila sui temi della parità e dei diritti, ognuna con le proprie competenza e sensibilità, come le consigliere Marilisa D’Amico e Anita Sonego. Ma è anche il prodotto di un percorso di ascolto e confronto con esperte ed esperti, professioniste e politiche impegnate su questi temi.
Condiviso dunque anche questo punto 2? Quali sollecitazioni sul tema della normalità hanno proposto le esperte e le politiche? Hanno sollevato perplessità? Chi in questo percorso condiviso l’ha proposto? E una discussione dove è avvenuta? Tante assemblee in Sala Alessi, qualche riunione di un tavolo sulla Pubblicità Sessista, e il tema non è stato sottoposto alla partecipazione delle donne milanesi? Sappiamo che il ruolo della Delegata è a Milano un ruolo a costo zero, a lungo senza un ufficio. Non ha fondi e finanziamenti che possa gestire direttamente. Non capiamo l’origine e le motivazioni di queste scelte, tantomeno a metà mandato di questa amministrazione e mentre un protagonismo femminile è presente in tanti e diversi luoghi della città, prende parola su temi che vanno oltre le emergenze. 
Perché il ruolo della Delegata mantenga questi contorni “sottili” non ci è chiaro, mentre è chiaro che limitate possono essere le nostre interlocuzioni con un ruolo così disegnato. 
E intanto...: Alla Giunta e al Consiglio chiediamo di eliminare quel punto 2, non emendabile.  
La fonte, con il pezzo completo: Donne, pubblicità, normalità: l'inutile leggerezza delle parole in una delibera (di Paola Ciccioli, Antonella Coccia, Donatella Martjni, Maria Grazia Ghezzi, Adriana Nannicini, 1 ottobre 2013)

martedì 1 ottobre 2013

Che rapporto c'è tra la violenza sulle donne e la pianificazione urbana?

La recente ondata di violenze sessuali che ha avuto come teatro le città indiane ha suscitato enorme indignazione e reazioni da parte delle donne ed ha messo in luce le relazioni che esistono tra la qualità degli spazi urbani e la sicurezza. 
In un articolo apparso il 28 settembre 2013 su The New York Times Neyaz Farooque raccoglie la testimonianza della ventiquattrenne Janaki Sharma,  produttrice presso una stazione radiofonica,  che fa la pendolare per circa 40 chilometri dalla sua casa, nel settore occidentale di  Delhi,  fino al suo posto di lavoro, incontrando nel tragitto attraverso la città "ogni sorta di maniaci, pervertiti ed imbecilli". Secondo la sua esprienza, il loro comportamento è diverso in relazione a dove avvengono gli incontri, ovvero nel metrò, sugli autobus, nella loro attesa, o camminando lungo l'ultimo tratto di strada desolata che deve fare a piedi.
Il disegno degli spazi urbani non è indifferente alle condizioni che favoriscono gli attacchi contro le donne. Sono soprattutto i luoghi di confine delle grandi infrastrutture viarie, come l'anello stradale che circonda New Delhi, per vasti tratti senza semafor,i e che intercetta molte aree desolate della citta , a favorire gli attacchi attuati da veicoli in movimento. In generale l'illuminazione delle strade è pensata per i veicoli che vi transitano e non per i pedoni. Aumentare la sicurezza per i pedoni può quindi contribuire alla diminuzione degli attacchi alle donne. Inoltre rendere le strade luoghi pieni di vita, dove si affacciano negozi e dove sostano venditori ambulanti, è una forma di controllo sociale che disincentiva il crimine, in particolare la violenza contro le donne.
Anche il diffondersi di quartieri recintati può creare le condizioni favorevoli agli atti criminali. Gli spazi esterni a questi insediamenti  diventano terra di nessuno  e  possono  essere  luoghi d'elezione per atti violenti. Allo stesso modo anche l'esistenza delle cosiddette zone di esclusione urbana, ovvero gli slum di città come Delhi o Mumbai, favorisce i comportamenti violenti da parte di coloro che vi abitano. Città più inclusive ed egualitarie sono  più sicure per le donne perchè meno esposte al prodursi della violenza di strada. Al contrario,  dove si creano quartieri esclusivi per la classe medio-alta si producono per converso i ghetti dell'esclusione sociale. Non è un caso che i membri della gang di violentatori che a Delhi uccisero una studentessa di 23 anni e l'autore della violenza contro una fotogiornalista di Mumbai provenissero da slum di quelle città.
Al di là delle città indiane, le cui trasformazioni sono tumultuose quanto lo sviluppo del paese, è in generale vero ovunque che gli spazi urbani se sono sicuri per i pedoni lo sono anche pe le donne e che se le strade continuano ad essere pensate solamente come infrastrutture di transito per le auto l'insicurezza urbana troverà sempre il modo di prodursi. Lo sottolineava già Jane Jacobs* a proposito delle grandi città americane, le cui violente trasformazioni per far posto ai viadotti sopralevati funzionali al traffico automobilistico avevano prodotto profonde ferite sociali. Il modello della strada urbana sulla quale si affaccino edifici per varie funzioni, con la sua vita fatta di abitazioni, uffici, esercizi commerciali e transito pedonale era negli anni '60 per Jacobs, così come oggi, un buon antidoto alla criminalità ed un valido dispositivo d'inclusione sociale.
* Cfr.Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Torino, Einaudi, 1969-2009.
Michela Barzi. Questo articolo è tratto da Millennio Urbano