martedì 4 marzo 2014

Donne milanesi: tra un bilancio della Giunta Pisapia e sogni vecchi e nuovi

ARCHIVIO/DOCUMENTI - Del progetto di bilancio dell'operato della giunta Pisapia si parlerà anche il prossimo martedi 25 marzo, nella quinta assemblea delle donne che si riunirà in Sala Alessi. Dopo aver dato conto del primo incontro milanese di seguito segnaliamo alcuni dei temi emersi nella successiva riunione tenuta alla Casa delle Donne. Ma ricordiamo prima l'invito all'assemblea del 25 marzo, indetta su un tema complementare a questo progetto di un primo bilancio sull’amministrazione: vi si parlerà infatti di “sogni realizzati e sogni da realizzare”. Come anticipato da Anita Sonego su Arcipelago Milano.
Anche un invito a tornare a pensare in positivo: se la partecipazione non è stata sufficiente, il mandato non è  concluso e c’è ancora tempo per raddrizzare il tiro, ove possibile.
Intanto: cosa emerge nelle prime discussioni? ne parliamo qui per consentire alle donne milanesi di valutare se e come unirsi al progetto con la loro partecipazione. Una prima cosa da dire è che l’invito non si rivolge solo alle “femministe”, ma a tutte le donne che, nei rispettivi ambiti, si impegnano in progetti che (dall’educazione e cultura, ai diritti, all’ambiente…) hanno qualche attinenza a quella qualità che ci aspettiamo da una politica più al femminile.
E, prima considerazione da tutte condivisa, è che la promessa di “ascolto”, che ci aveva tanto entusiasmato, nei fatti è stata disattesa.
Vero è che (diversamente da quanto accaduto mai prima) il Comune ha sempre offerto alle donne un luogo in cui incontrarsi (tutte possiamo chiedere una stanza a Palazzo Marino), e le assessore e la delegata del Sindaco alle pari opportunità, quando invitate, hanno prestato la loro attenzione. Ma se formalmente non c’è stato un atteggiamento di chiusura, non sono state soddisfacenti le risposte – che si limitano il più delle volte al silenzio: se dunque all’ascolto non segue un dialogo, quale partecipazione è possibile? 
Nel concreto, fra le promesse disattese viene assunto a paradigma il mancato “bilancio di genere”: non è stato fatto. Eppure fu proposto in campagna elettorale non a seguito di pressioni femminili, ma come proposta proattiva, fatta spontaneamente come a mostrare di voler andare “oltre ai facili slogan”. A maggior ragione il sindaco avrebbe dovuto dare conto delle ragioni per cui poi è stato accantonato. Oggi non è più possibile fare quello preventivo, ma un’analisi di genere del bilancio effettivamente adottato sarebbe opportuna, come parte essenziale del bilancio stesso che ci proponiamo di fare dell’operato della giunta.   
Sul piano pratico, l’incontro pone anche il problema delle modalità per giungere all’analisi che ci interessa. Anziché creare un gruppo di lavoro “depositario” dell’iter (cioè che rappresenti un “noi” definito, come erano i tavoli), questa volta l’invito a partecipare di questo ipotetico “noi” è il più esteso possibile. Ma come? 
La proposta è che in tante inviino alla Presidente della Commissione per le Pari Opportunità qualcosa sulla loro esperienza: contributi da cui ancora meglio se emergeranno progetti: come proposte all’amministrazione per il tempo restante di mandato.
Tornando alla discussione in corso: qualche esperienza fatta già emerge. Una delle intervenute all'incontro osserva: negli ultimi anni abbiamo assistito a grande cambiamento culturale e trasformazioni sociali; il termine partecipazione ha preso la scena, ma svuotandosi anche di senso in tante occasioni. Abbiamo visto tanti giovani intervenire in modo desiderante creando situazioni di grande sussidiarietà sul comune. Dal momento che il comune non ha soldi c’è stata una reazione di auto-organizzazione che ha portato a diverse esperienze interessanti; faccio due esempi:
1. uno legato all’ambito dei servizi: giovani madri che organizzano un laboratorio di “sharing” dei bambini. La cosa risolve dei problemi pratici, ma l’esperimento è anche sulla genitorialità, emerge dunque una voglia di continuare l’esperimento. 
2. l’altro agli aspetti culturali: per molti le iniziative Fabbrica del Vapore costano troppo; allora i giovani si inventano Macao: c’è socializzazione, autoproduzione e condivisione di mezzi di produzione.
E ti chiedi: perché stai meglio in queste nuove situazioni? Ci sono cittadine e cittadini che stanno elaborando nuove forme: “nuove istituzioni”. Andremo a Madrid, per parlarne, e troviamo incredibile che qui, dove le mettiamo in atto, non si possa fare, non ci sia interesse a leggerle e trovare un modo per dialogarci. In entrambe queste esperienze, senza voler fare generalizzazioni, si nota una grossa difficoltà di dialogo: che tu approvi o meno dovresti relazionarti, ma nessuna delle due è stata mai trattata come un interlocutore. Trovo strano che non sia mai stato dato nessun riconoscimento, a giovani cittadini che in qualche modo cercano di dare un contributo. Non capisco il senso del negare il dialogo.
Questo pone al centro alcuni fra i temi più essenziali: incapacità di dialogo e di valorizzare forze preziose con cui un'amminitsrazione innovativa dovrebbe creare una sinergia a vasi comunicanti, obiettivo troppe volte mancato in questa prima fase di mandato. Danno fastidio le forze che dal basso premono con le loro richieste? ne darebbero molto di più se si abbandonassero a una disperazione distruttiva.
Anita Sonego (pres. Commissione Pari Opportunità) nota (osservazione anche di altre) che anche le associazioni potevano attivarsi di più per cercare quella partecipazione che è mancata: a parte i comitati, le sole a fare tentativi di vera partecipazione mi sembra siano state le donne, che su questo piano stupiscono sempre. Ma anche, dice, bisogna vedere le cose positive. Personalmente sono stupita da quante donne in poche settimane si siano iscritte alla Casa, io per prima non avevo chiaro quanto il bisogno di questo luogo fosse reale. Il “Tavolo Spazi” è stata dunque una forma di partecipazione positiva: ha funzionato perché corrispondeva a un bisogno e l’interlocuzione è andata bene. L’altro tavolo di lavoro, fatto dalle Giardiniere, è a un livello di reale partecipazione che ha coinvolto centinaia di esperti per attuare una proposta concreta. Il Comune la attuerà? Anche non dovesse farlo resta un’esperienza molto importante [e su questo, inutile dirlo, difficile essere d’accordo: a tanto sforzo, se produce un progetto intelligente e fattibile, deve seguire una realizzazione, ndr]. Continua Sonego: il problema è trovare come fare cose in modo nuovo: l’istituzione è vecchia e strutturata su  modelli vecchissimi di democrazia, nuove forme di partecipazione vanno inventate. C’è una struttura dura e spetta a noi trovare il modo di trasformare i desideri in richieste collettive: la Sala Alessi non è uno strumento, ma simbolicamente una cosa importantissima: le 500 persone che rispondono partecipando alle assemblee, sono realmente rappresentative.
Una delle donne che ha partecipato al Tavolo Spazi (Floriana), e continua le attività con la Casa delle Donne, propone di “rovesciare completamente la prospettiva da cui guardare il problema”: noi non riusciamo a far contare le nostre voci se non abbiamo forza, quella forza che viene dal contatto con i problemi reali della città e nella città. Dobbiamo conoscere di più le donne che si muovono in vari ambiti di vita e di lavoro e aiutare a far emergere una visione  diversa, che non è fatta solo di richieste specifiche ma anche di un diverso rapporto da creare con l’amministrazione per dar vita a nuovi soggetti di partecipazione civica realmente riconosciuti. Le istituzioni non sono in grado di captare questa esigenza, che prefigura già il futuro, perché sono inchiodate a vecchi schemi che finora le donne elette non sono riuscite a modificare. Non dobbiamo fare lo stesso errore, cioè quello di restare nei vecchi schemi, altrimenti si finisce per pensare che la partecipazione sia solo un rapporto di interlocuzione (quando c’è…) con le rappresentanti dentro le istituzioni - ma qui non vedrei nulla di nuovo, è già accaduto in passato e non ha generato trasformazione. La trasformazione deve avere due livelli: quello che si crea dal basso e parallelamente quello che si deve esigere dalle istituzioni, altrimenti si finisce per renderle “innocenti”. Importante dunque cercare più contatti  con le situazioni cittadine in cui le donne si muovono: “invitandole qua” (nella Casa), ma anche andando da loro. 
Integra questo discorso un’altra donna della Casa (Francesca): mi faccio due domande: la prima: oltre le nostre esperienze, cosa so/cosa sappiamo di questa città? La seconda: cosa intendiamo quando parliamo di consapevolezza di genere? Mi trovo d’accordo con la proposta di raccogliere progetti, proposte, richieste avanzate dalle donne a questa Amministrazione, le forme di interlocuzione messe in atto e le risposte avute. Mi pare sia necessario, prima di tutto, conoscere e prendere contatti con ciò che si muove in città. Alcune di noi, prima di arrivare qui, sono state a un incontro all’Urban Center, organizzato dal “Social street” di Milano. Sono le donne le animatrici più convinte, che si organizzano nelle loro strade per stabilire legami sociali senza chiedere niente all’Amministrazione. Milano ad esempio è piena di Gruppi di Acquisto Solidale. Ci sono realtà di cui sappiamo poco o niente con cui dobbiamo prendere contatti. Sul ragionare insieme su cosa intendiamo con “consapevolezza di genere” penso che questa non si debba dare per scontata, né si può improvvisare. Inoltre, come è naturale, ha diversi risvolti e gradi. E questo l’ho potuto constatare e lo vedo ogni giorno tra noi che abbiamo realizzato il progetto della “Casa delle donne di Milano”.
Dice la consigliera Rosaria Iardino: gli assessori sono fondamentali perché hanno i mezzi economici. Ma in Consiglio c’è frustrazione perché se tutto si fa in Giunta poi è difficile cambiare le cose. A metà mandato ribaltiamo la situazione: come si può partecipare? Deve esistere la capacità di fare patti di progettualità prima: condividendo patti di progetti. Ma aggiunge: tante cose che sono state fatte, magari partite in inizio di legislatura, non sono ancora visibili all’esterno: forse non c’è stata la capacità di comunicarle o stanno emergendo solo adesso, a causa della lentezza della macchina comunale. La difficoltà di comunicare pesa. Un esempio positivo: avevamo 200 donne che attendevano asili nido, e si è trovato un sistema per azzerare le liste di attesa. La cosa dall’anno prossimo dovrebbe funzionare. Io mi occupo della fragilità della povertà, specie riguardo alla salute di genere: su 1500 utenti completamente a carico della città (pasti, lavori domestici, e non solo) oltre la metà sono donne: e so che ci stiamo attivando per migliorare tante cose. Ma si incontrano tante difficoltà: ad esempio oggi la Questura non mi ha consegnato i dati su quante donne sono picchiate stuprate ecc, perché non hanno dati specifici, ma solo macrodati. Dobbiamo trovare il modo di attivare strumenti (che esistono) con cui sia possibile fare una mappatura in tempi reali, necessaria a un’azione di prevenzione. Insomma: giusto approfondire, fare emergere criticità, fare proposte per superarle.
Una delle presenti sottolinea che, se va bene una certa autocritica (riguardo ad attivarsi di più per chiedere interlocuzione) è importante fare emergere i tentativi che pure ci sono stati; ad esempio il progetto Femme Relais finanziato dalla legge 40 con cui si è tentato di estendere la partecipazione alla vita della città alle donne straniere, formando le prime “femmes relais” (mediatrici di quartiere) di Milano, tra le prime in Italia. Terminato il budget, dopo oltre un anno di lavoro volontario, il progetto si è arenato. Un sostegno per proseguire il positivo percorso avviato è stato sollecitato, ma ad oggi non ci sono  risposta. 
C'è anche chi ricorda che, in campagna elettorale, alcune donne avevano richiesto al Sindaco un impegno perché, nel dialogo con le comunità immigrate, si cercassero strumenti a sostegno delle donne, che più degli uomini possono essere attive verso un’integrazione costruttiva. Proponendo in particolare di coinvolgere anche le donne nelle relazioni con le comunità mussulmane, che è preoccupante siano condotte solo con interlocutori maschi, e per di più religiosi. Anche su questo il Sindaco aveva fatto promesse, a maggior ragione Femme Relais avrebbe dovuto essere valorizzato:  come mai è stato fatto cadere?  
Vedi min. 4,55 al video seguente (che – al min 4,31 - parla anche del bilancio di genere):

Ancora: un altro esempio è la gestione delle scuole. Bene la notizia che dà Iardino sulle liste di attesa, ma se queste si sono create è anche perché i nidi hanno subito una riduzione del personale. Esiste anche un problema di criteri di assegnazione e di organizzazione del nido che non può più essere considerato un servizio a domanda individuale, ma deve diventare un servizio universale, anche in considerazione delle attuali condizioni di flessibilità del lavoro. 
Altri temi sono stati sollevati, ma quello che è importante rilevare è che il processo di analisi che si è avviato potrà essere l'occasione, facendo emergere progetti e realtà che spesso non si parlano, anche di porre le basi per una nuova rete. Augurandosi che in questo processo - come conclude Laura Cima nella sua presentazione del progetto su Arcipelago Milano - sindaco e Giunta vorranno riconoscere le donne come interlocutrici politiche.
Un'occasione non solo locale, nel faticoso percorso che tante donne stanno tentando, senza arrendersi, per una politica migliore.

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