Antonella Penati, la mamma del piccolo Federico, ricorrerà alla Corte Europea dei diritti dell’uomo perché in Italia non ha
ottenuto giustizia per la morte del figlio e nemmeno la verità. Lo ha detto
durante la conferenza stampa organizzata insieme al suo legale, Federico
Sinicato e che si è svolta a Palazzo Marino, il 23 marzo scorso. Sono
intervenute anche la giornalista Luisa Betti e Maria Serenella Pignotti, pediatra e medico legale.
Nei giorni scorsi sono
state rese pubbliche le motivazioni della sentenza che ha assolto tre imputati
per la morte di Federico Barakat: Elisabetta
Termini, dirigente del servizio sociale, Nadia Chiappa assistente sociale e
Stefano Panzeri, un educatore. Federico venne ucciso dal padre quando aveva a 8 anni, il 25 febbraio del 2009, durante una visita protetta, nella sede dei
servizi sociali di San Donato Milanese. In quel momento era stato lasciato solo
nella stanza col padre che lo colpì con diverse coltellate e poi gli sparò. Fu una morte annunciata che si compì dopo un lungo calvario lastricato dalla distorsione delle risposte istituzionali. La mamma Antonella si era rivolta allo Stato per chiedere protezione
per sé e il figlio, perché subiva violenze e minacce dall’ex marito che faceva
anche uso di droghe; ma invece di ricevere aiuto si vide sottratta la potestà genitoriale che venne esercitata dal servizio sociale affinché vigilasse “nel tentativo di garantire un recupero ed un
sereno svolgimento del rapporto tra genitore e figlio".
Nel 2007 il dottor Parrini, CTP di Antonella Penati, aveva informato il servizio sociale della pericolosità di Jok Barakat, chiedendo una restrizione delle visite. Ma la sua perizia venne ignorata e addirittura il servizio sociale, in capo a due anni, nonostante le violenze non fossero cessate concesse un ampliamento dei tempi di visita tra padre e figlio, programmando persino un viaggio all’Aquarium di Genova. Le Istituzioni rimossero completamente la violenza e non fecero alcuna valutazione sulla pericolosità del padre di Federico. In una distorta logica degna di un processo kafkiano, Antonella si sentì accusare dai servizi sociali di essere una madre ansiosa, una iperprotettiva che ostacolava la relazione tra padre e figlio: la mamma isterica fu così minacciata di perdere la custodia del figlio se avesse osteggiato le visite protette. Anche la paura di Federico fu ignorata. Tre giorni prima di morire, il bambino sognò che il padre lo uccideva e che degli gnomi malvagi lo portavano su una nuvola: un sogno che rivela l'emergere dall'inconscio dell’angoscia profonda che lo tormentava da tempo. Ma l'origine oggettiva di queste ansie non fu riconosciuta: per negarla venne invocata la Pas, la inesistente sindrome di alienazione parentale (mai inserita del DSM) che parte dall'assunto, come fosse un dogma, che un bambino che teme il padre debba essere manipolato da una madre malevola e iperprotettiva, che mette l'altro genitore in cattiva luce. Lo scorso novembre il Tribunale civile di Milano ha con una sentenza dichiarato che la Pas non esiste - ma purtroppo quella sindrome inesistente è diventata una sorta di ideologia che entra ancora nei tribunali con altre "etichette". Quanto peso ebbe la teoria della Pas in questa vicenda?
Nel 2007 il dottor Parrini, CTP di Antonella Penati, aveva informato il servizio sociale della pericolosità di Jok Barakat, chiedendo una restrizione delle visite. Ma la sua perizia venne ignorata e addirittura il servizio sociale, in capo a due anni, nonostante le violenze non fossero cessate concesse un ampliamento dei tempi di visita tra padre e figlio, programmando persino un viaggio all’Aquarium di Genova. Le Istituzioni rimossero completamente la violenza e non fecero alcuna valutazione sulla pericolosità del padre di Federico. In una distorta logica degna di un processo kafkiano, Antonella si sentì accusare dai servizi sociali di essere una madre ansiosa, una iperprotettiva che ostacolava la relazione tra padre e figlio: la mamma isterica fu così minacciata di perdere la custodia del figlio se avesse osteggiato le visite protette. Anche la paura di Federico fu ignorata. Tre giorni prima di morire, il bambino sognò che il padre lo uccideva e che degli gnomi malvagi lo portavano su una nuvola: un sogno che rivela l'emergere dall'inconscio dell’angoscia profonda che lo tormentava da tempo. Ma l'origine oggettiva di queste ansie non fu riconosciuta: per negarla venne invocata la Pas, la inesistente sindrome di alienazione parentale (mai inserita del DSM) che parte dall'assunto, come fosse un dogma, che un bambino che teme il padre debba essere manipolato da una madre malevola e iperprotettiva, che mette l'altro genitore in cattiva luce. Lo scorso novembre il Tribunale civile di Milano ha con una sentenza dichiarato che la Pas non esiste - ma purtroppo quella sindrome inesistente è diventata una sorta di ideologia che entra ancora nei tribunali con altre "etichette". Quanto peso ebbe la teoria della Pas in questa vicenda?
Antonella Penati, che nel frattempo ha fondato l'associazione Federico nel cuore per ottenere maggiori tutele dei minori, ha chiesto che venga istituita una Commissione d’inchiesta bicamerale per valutare il comportamento delle
istituzioni nei casi di violenza e maltrattamento familiare e anche come vengano applicate
le leggi di contrasto alla violenza contro donne e minori, le convenzioni internazionali e le procedure di affido coatto. In Senato giace da tempo un disegno di legge per istituire una commissione, proposto dalla
senatrice Valeria Fedeli, e sottoscritto trasversalmente dalle forze politiche che
ancora non è stato discusso e che potrebbe essere
un buon strumento per valutare se ci sono smagliature nel sistema di intervento a sostegno delle vittime di violenza perché non ci siano più donne ri-vitimizzate
e inascoltate come è accaduto ad Antonella Penati.
A sei
anni dalla morte di Federico la Cassazione sentenzia che i servizi
sociali non furono responsabili perché nel provvedimento del tribunale dei minori «non derivava dalla
necessità di tutelare l’incolumità fisica del bambino ma dall’esigenza di
garantire un adeguato sviluppo del minore in presenza di genitori inadeguati, e
che entro tale confini doveva essere interpretato l’ambito di controllo
demandato dall’ente pubblico», e ancora che «le finalità protettive erano – unicamente
– al sostegno educativo e psicologico del bambino, a fronte della esasperata
conflittualità della coppia genitoriale».
Come se fosse possibile scindere un adeguato sviluppo del minore dalla tutela
della sua vita. Nelle motivazioni di
quella sentenza pesa come un macigno l’assenza della parola violenza. Il riferimento continuo e fuorviante alla “conflittualità” invece che alla violenza, è un’offesa alle vittime che non hanno ricevuto nemmeno la restituzione di una reale ricostruzione dei fatti. L'atto di rimozione della violenza, delle denunce e della perizia sulla pericolosità del padre di Federico sgombra comodamente il campo da qualunque ipotesi di negligenza del servizio sociale che perseverò ostinatamente nell’assurdo progetto di far conoscere a Federico “la parte buona del padre". Ma quella parte buona non c’era più e chissà da quanto tempo.
@nadiesdaa